Il sindaco di Lusevera (Udine), Mauro Pinosa, ha donato 35 frigoriferi al carcere di Udine dove era stato rinchiuso nel 1980 a causa di un'irregolarità nel porto d'armi. "Non appena liberato mi ripromisi di fare qualcosa per quel carcere. Rimasi in via Spalato soltanto 8 giorni – ha raccontato al quotidiano La Repubblica –ma mi bastarono per capire cosa vuol dire essere privati della libertà. Scoprii un mondo diverso, che non avrei mai immaginato di conoscere. Ero terribilmente avvilito, ma i compagni con cui dividevo la cella non smisero mai di confortami". Per sdebitarsi ha colto l'occasione e ha aderito all’iniziativa “Un frigo per ogni cella”, promossa dal garante dei detenuti di Udine, insieme alle associazioni La Società della Ragione e Icaro Volontariato Giustizia.
L'iniziativa "Un frigo per ogni cella" L'iniziativa "Un frigo per ogni cella" ha l'obiettivo di per alleviare il problema delle temperature insopportabili che aggravano le condizioni di vita delle persone recluse nella casa circondariale del capoluogo friulano. Si tratta di una campagna di raccolta fondi per l'acquisto di 35 frigoriferi al costo di 150 euro l’uno per un totale di 5.250 euro. Pinosa si è fatto carico dell'intera somma per ripagare il carcere della solidarietà ricevuta quando venne recluso 44 anni fa. "Il tempo, poi, è passato. Qualche mese fa chiesi l’autorizzazione per poter visitare il carcere, ma la burocrazia è complessa e alla fine lasciai perdere. Quando però ho saputo della colletta per i frigoriferi – ha detto – ho pensato che fosse l'occasione ideale per onorare l'impegno che mi ero preso all'epoca".
Perché finì in carcere Pinosa è un imprenditore di Villanova delle Grotte e, da giugno, sindaco di Lusevera, un comune di 600 abitanti della provincia di Udine. Appassionato di tiro al bersaglio, nel 1980 aveva comprato una pistola. A La Repubblica ha spiegato che a due mesi di distanza da quando aveva portato tutti i documenti per il rinnovo del porto d’armi in Questura, a Udine, aveva telefonato all’ufficio armi per sapere a che punto fosse la sua pratica. Gli risposero che era tutto a posto e che mancava solo il visto del responsabile per consegnargli la documentazione. Una questione di ore. "Il sabato mattina richiamai, ma non rispose nessuno. Essendo stato rassicurato sulla regolarità delle carte, decisi comunque di andare al poligono di Udine – ha ricordato –. Lì, consegnai l’arma per il consueto controllo di polizia e fornii anche copia dei documenti portati in Questura. Ottenuto il via libera, mi dedicai ai tiri. Alla fine della gara, però, lo stesso poliziotto mi disse che doveva portarmi in Questura, perché, non avrei dovuto muovermi da casa con la pistola senza avere ricevuto il porto d’armi".
Era il periodo delle Brigate Rosse e le disposizioni sui controlli di armi e porto d'armi erano molto rigidi, Pinosa venne quindi portato in carcere. Seguirono il processo per direttissima e una condanna a 4 mesi con la condizionale e la non menzione, oltre al sequestro dell’arma, ma con liberazione immediata. In tutto rimase nel carcere per 8 giorni. "In appello, a Trieste, fui assolto con formula piena, con le scuse del Tribunale – ha affermato Pinosa –. Ricordo ancora le parole del pubblico ministero, che chiese l’assoluzione perché questo giovane - disse - abbia fiducia nella giustizia italiana". Grazie al sostegno delle persone incontrate nella struttura e hai compagni di cella riuscì a superare lo choc di ritrovarsi recluso, da lì la promessa, onorata 44 anni dopo, di fare qualcosa per migliorare le condizioni dei detenuti.