La madre di Sammy Basso, Laura Lucchin, ha parlato della morte del figlio, avvenuta ad Asolo (Treviso) sabato scorso, in un'intervista al Corriere del Veneto. "È stata una morte naturale - ha raccontato - legata alla sua patologia rara (la progeria, ndr). Anche se noi non ce lo aspettavamo minimamente. Quando i suoi amici ci hanno chiamato per dirci che aveva avuto un malore non potevamo immaginare che non si sarebbe mai più svegliato. Abbiamo vissuto con lui ringraziando giorno per giorno, consapevoli della malattia e di che cosa comportasse. Ora, cosciente del fatto che lui abbia vissuto così tanto, per 28 anni, mi dico 'caspita'. Ma noi ci svegliavamo ogni mattina dicendo: 'Che bello che sia anche oggi qui con noi' e ce lo siamo vissuti a pieno sempre". "I suoi organi sono stati donati alla ricerca, affinché siano utili a far progredire gli studi su cui lui stesso stava lavorando", ha inoltre specificato la donna.
Lucchin ha poi dichiarato che Sammy "ha realizzato un percorso di fede importante. Noi siamo credenti e fin da piccolo lo abbiamo accompagnato in tutte le esperienze della religione cristiana cattolica. Poi a 12 anni, quando ha iniziato la cura sperimentale, ha avuto una crisi. Questo perché ha sempre creduto che lui fosse nato affetto dalla progeria perché questo era il progetto di Dio per lui, e così l'aveva accettata. Una volta che si è presentata la possibilità della cura sperimentale si sentiva di andare contro la volontà di Dio. Lui ha sempre detto che per un anno e mezzo si è sentito un po' ateo... ha studiato tantissimo, ha approfondito il buddhismo, la religione islamica, l'ebraismo e lo stesso cristianesimo. Si è poi confrontato con diversi ricercatori e scienziati, che gli hanno trasmesso un messaggio per lui fondamentale: la scienza sono le mani di Dio. Da questo momento ha ricominciato a viversi pienamente il cristianesimo".
Il dopo-Sammy sarà "quello che è stato il fulcro della sua vita: la ricerca. Ha lavorato fino all'ultimo come ricercatore per un progetto in collaborazione con il centro di Boston che lo seguiva, e il Cnr di Bologna per poter trovare una cura alla sua patologia. Sapeva che non sarebbe stato per lui, ma per le generazioni future. La ricerca quindi andrà avanti, come il lavoro dell'associazione da lui stesso fondata. Sono tanti gli amici all'interno - ha concluso Lucchin - che continueranno a tenerla viva".