Volendo descrivere il sistema educativo italiano si potrebbe parlare di un dipinto in cui si alternano luci e ombre. Perché praticamente in tutti gli indicatori del rapporto OCSE “Education at Glance 2024” - che fotografa, appunto, lo stato di salute del settore negli Stati dell’area - il nostro Paese può trovare elementi di cui andare fiero e, sugli stessi temi, motivi di preoccupazione. Uno su tutti, la dispersione scolastica.
Tanti i giovani "recuperati"
Come sottolinea il portale studentesco Skuola.net, che ha isolato i passaggi più rilevanti del report, negli ultimi otto anni la percentuale di quanti - giovani tra i 25 e i 34 anni - non sono arrivati neanche al diploma di scuola superiore è sceso di sei punti percentuale: oggi è al 20%. Ma siamo ancora molto indietro rispetto alla media OCSE, che si attesta al 14%. Un gap di altrettanti sei punti che richiederà molto tempo per essere colmato.
Lo stesso si può dire per una questione affine: il triste fenomeno dei NEET, di quei giovani che nella stessa fascia d’età non studiano né lavorano. L’Italia ha fatto molto nel recente passato, tagliando di oltre dieci punti il dato: dal 32% del 2016 al 21% attuale (il 20% tra le ragazze). Siamo tra i più veloci a ridurre il loro numero. Ma la distanza che ci separa dalla media OCSE - 15% - è notevole. E tra i 25-29enni, cioè quando si dovrebbe entrare nel lavoro, tra i maschi e le femmine si scava una voragine: tra i primi il dato resta sostanzialmente immutato - i NEET sono il 20% - mentre tra le seconde schizza dal 20% al 31%.
Le ragazze e i ceti bassi non possono sognare in grande
A proposito di ragazze, qui si apre un’altra gigantesca questione. Le giovani donne si confermano sempre più brave dei loro colleghi maschi nella riuscita negli studi: il 55% dei laureati è femmina (peraltro con voti più alti). Aprendo a un futuro in cui si potrebbe riequilibrare la rappresentanza di genere ai vertici della scala gerarchica occupazionale. Per ora, però, a questo dato non corrisponde un’adeguata soddisfazione nel mondo del lavoro. Se nell’area OCSE le donne guadagnano il 17% in meno dei maschi - raffronto già di per sé poco accettabile - in Italia, a parità di mansione, una donna percepisce poco più della metà (58%) di quanto prende un uomo.
E che dire, poi, dell’annoso problema del cosiddetto “ascensore sociale”, inesorabilmente bloccato. Il contesto socio-economico di provenienza, infatti, fa ancora tanta differenza rispetto alle prospettive di successo negli studi e, di conseguenza, nella vita. Basta un dato: il 37% dei figli di genitori in possesso del solo diploma di terza media è destinato a disperdersi; un numero quasi doppio rispetto a quello medio. E appena il 10% riesce a laurearsi.
La spesa in istruzione non è ancora sufficiente
Sullo sfondo, bi soliti problemi specifici del sistema scolastico. Prosegue il sotto-finanziamento, sempre se confrontato con l’area OCSE, dedicato all’istruzione. In Italia, secondo “Education at Glance 2024”, è al 4% del PIL; la media OCSE sfiora il cinque per cento (4,9%). Anche se, va detto, il dato comprende anche la spesa per l’università e per tutto il sistema terziario. Cosicché, isolando solo la scuola, il finanziamento italiano è pari al 2,9% in rapporto al PIL e quello dell’area OCSE è di poco sopra, al 3,2%. L’obiettivo è alla portata.
Se c’è, invece, un aspetto su cui tutto le cose sembrano girare per il verso giusto è la questione docenti. A partire dalla consistenza della classe insegnante. L’Italia è il Paese con il miglior rapporto alunni per professore: 11 studenti per insegnante alle elementari (contro i 14 della media OCSE), 11 anche alle medie (contro i 13 OCSE), 10 alle superiori (contro sempre i 13 OCSE). Questo, però, è in parte il frutto del calo degli iscritti dovuto al crollo delle nascite. Ma anche, ed è una buona cosa, dell’aver mantenuto immutati gli organici. D’altra parte, si deve ricordare lo scorporo, frequente dalle nostre parti, di materie della stessa area disciplinare fra più docenti.
Buone notizie anche sul fronte stipendi dei prof: questi sono cresciuti dell'8 per cento (se misurati per gli insegnanti con 15 anni di carriera). Ma, di nuovo, questo è vero in termini nominali, perché l'inflazione parallelamente ne ha ridotto il valore reale. A conti fatti, perciò, dal 2013 sono diminuiti del 6 per cento, contro una crescita media nei Paesi OCSE del 4 per cento. Si spera che i recentissimi adeguamenti - un +4,5% stimato per il 2024 - e le mosse in cantiere per l’immediato futuro - si punta al 6% col prossimo rinnovo contrattuale - risolvano il corto circuito.