Secondo i dati Istat, il Pil reale (quello in volume) in Italia, solo a fine 2023 è tornato ai livelli del 2007. In 15 anni si è accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania. Lo si legge nel Rapporto annuale, dove si evidenzia che, rispetto al 2000, il divario è di oltre 20 punti con Francia e Germania, e di oltre 30 con la Spagna. Tra il 2014 e il 2023 l'incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9% nel 2014 al 7,6% nel 2023.
Il divario con Francia e Spagna Nel 2023 in Italia, segnala l'Istat, il Pil è aumentato dello 0,9% a fronte dello. 0,7% in Francia e del 2,5% in Spagna, mentre la Germania ha registrato un calo (-0,3%). Secondo le stime preliminari, nel primo trimestre del 2024 la crescita congiunturale dell'economia è stata dello 0,7% in Spagna, dello 0,3% in Italia e dello 0,2% sia in Francia sia in Germania. Al netto degli effetti di calendario, sottolinea l'Istat, la crescita acquisita per il 2024 sarebbe dell'1,6% in Spagna, dello 0,5% in Francia e Italia mentre la Germania dovrebbe registrare un -0,2%.
Il problema della produttività L'Istat sottolinea che "la stagnazione della produttività del lavoro è uno degli elementi che ha caratterizzato il debole andamento del Pil in volume negli ultimi vent'anni e il conseguente allargamento del divario di crescita con le altre principali economie dell'Ue. In volume, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto di solo l'1,3% tra 2007 e 2023, contro il 3,6% in Francia, il 10,5% in Germania e il 15,2% in Spagna". Nel sistema delle imprese, in Italia, il livello della produttività (valore aggiunto per addetto) a prezzi correnti nella manifattura è inferiore a quello osservato in Francia e Germania solo nel segmento delle micro e piccole imprese, che però hanno un peso maggiore nel nostro Paese. Nei servizi, invece, le imprese italiane mostrano una produttività inferiore in tutte le classi dimensionali.
La debolezza degli investimenti Uno degli elementi che concorre a spiegare la bassa crescita della produttività, spiega l'Istat, può essere rintracciato nella dinamica degli investimenti. Questa è rimasta a lungo depressa, recuperando però decisamente nell'ultimo triennio, anche nei confronti delle altre maggiori economie europee. La debolezza degli investimenti tocca in particolare quelli in beni immateriali e nelle attrezzature ICT, le componenti che più incidono sull'ammodernamento dello stock di capitale. In questo caso l'Italia mostra un livello sul Pil ancora inferiore rispetto alle altre grandi economie Ue, nonostante la crescita registrata nel periodo più recente.
Crescono i working poor In questo contesto, il reddito da lavoro ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico. Secondo l'Istat tra il 2014 e il 2023 l'incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9% nel 2014 al 7,6% nel 2023. Per gli operai l'incremento è stato più rapido passando da poco meno del 9% nel 2014 al 14,6% nel 2023. Nel 2023 l'8,2% dei dipendenti era in povertà assoluta a fronte del 5,1% degli indipendenti.
In 10 anni crolla il potere d'acquisto dei salari Se negli ultimi anni l'occupazione è aumentata, il potere d'acquisto dei salari lordi dei lavoratori dipendenti è diminuito negli ultimi 10 anni del 4,5%. "Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni - spiega l'Istat - l'Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica. Tra il 2013 e il 2023 il potere d'acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell'Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l'1,1% della
Francia e il 5,7% della Germania.
Nel triennio 2021-2023, sottolinea l'Istat, le retribuzioni contrattuali orarie sono cresciute a un ritmo decisamente inferiore a quello osservato per i prezzi, con una differenza particolarmente marcata nel 2022 (7,6 punti percentuali): tra gennaio 2021 e dicembre 2023 i prezzi al consumo sono complessivamente aumentati del 17,3%, mentre le retribuzioni contrattuali sono cresciute del 4,7%. Dopo un periodo di quasi tre anni, la dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali è tornata, a ottobre 2023, a superare quella dei prezzi, grazie alla continua decelerazione dell'inflazione. In media di anno, tuttavia, la crescita salariale è risultata ancora inferiore a quella dei prezzi. Le retribuzioni contrattuali orarie nel 2023 sono aumentate del 2,9%, in rafforzamento rispetto al 2022 (1,1%) mentre i prezzi al consumo, seppure in decelerazione, hanno comunque segnato nel 2023 una crescita del 5,9%, che ha determinato un ulteriore arretramento in termini reali delle retribuzioni.
Nei primi tre mesi del 2024 si conferma l'inversione di tendenza, osservata nell'ultimo trimestre del 2023, con una crescita delle retribuzioni contrattuali superiore all'inflazione (il 2,8%, rispetto all'1,0% di aumento medio dei prezzi nel trimestre). A livello settoriale, la crescita retributiva è risultata più intensa nell'Industria (+4,7%) rispetto a quanto avviene nei Servizi privati (+2,3%). Considerando i rinnovi siglati fino alla fine di marzo, nel settore privato si osserverebbe, in base alle informazioni disponibili, una crescita pari al 3,1% nella media del 2024, che darebbe luogo, stante il livello attuale di inflazione, a un parziale recupero del potere di acquisto delle retribuzioni. Per la Pubblica amministrazione, in attesa del rinnovo del triennio 2022-2024, da gennaio si osserva una crescita dell'1,6%, sostenuta dall'erogazione del nuovo importo mensile dell'indennità di vacanza contrattuale.
L'inflazione ha penalizzato i ceti bassi Tra il 2014 e il 2023, la spesa equivalente delle famiglie è cresciuta in termini nominali del 14% ma se si depura dalla crescita dei prezzi è diminuita del 5,8%. Secondo l'Istat l'impoverimento è stato generalizzato, ma "il calo è stato più forte per le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi, appartenenti al primo e al secondo quinto della distribuzione" con una riduzione rispettivamente del volume degli acquisti dell'8,8% e dell'8,1%. Le famiglie del ceto medio e medio-alto, appartenenti al terzo e quarto quinto, hanno diminuito le loro spese reali in maniera più significativa rispetto alla media nazionale (-6,3% il terzo e -7,3% il quarto) mentre le famiglie più abbienti, appartenenti all'ultimo quinto, hanno contenuto le proprie perdite con un -3,2%.
Le distanze in termini reali tra famiglie più e meno abbienti, appartenenti ai due quinti estremi, spiega l'Istat, si sono ampliate in particolare nell'ultimo triennio; con la ripresa inflazionistica, le famiglie con minori capacità di spesa hanno dovuto infatti scontare un aumento dei prezzi più forte rispetto a quelle più benestanti. Ciò è avvenuto in particolare nel corso del 2022, quando l'inflazione è stata molto alta e trainata da energetici e alimentari, beni essenziali che pesano in misura maggiore sulla spesa delle famiglie con maggiori vincoli di bilancio. Rispetto al 2020, le famiglie più povere hanno avuto a fine 2023 un'inflazione specifica del 22,2%, rispetto al 15,1% delle famiglie più benestanti (+17,4% la media complessiva).
Con il Reddito di cittadinanza uscite dalla povertà un milione di persone L'erogazione del Reddito di cittadinanza "ha permesso di uscire dalla povertà a 404mila famiglie nel 2020, 484mila nel 2021 e 451mila nel 2022. Per quanto riguarda gli individui, l'uscita dalla povertà ha riguardato 876mila persone nel 2020 e oltre un milione nel 2021 e nel 2022. Senza il RdC, spiega l'Istat, "l'incidenza di povertà assoluta familiare nel 2022 sarebbe stata superiore di 3,8 e 3,9 punti percentuali rispettivamente nel Sud e nelle Isole. Tra le famiglie in affitto, l'incidenza di povertà sarebbe stata 5 punti percentuali superiore. Tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione, l'incidenza avrebbe raggiunto il 36,2% nel 2022, 13,8 punti percentuali in più.
Cala propensione al risparmio Tra il 2019 e il 2023, il reddito disponibile delle famiglie a prezzi correnti è cresciuto del 13,5%. A prezzi costanti è, invece, diminuito dell'1,0% rispetto al 2019. Il mantenimento del volume dei consumi nonostante la riduzione del potere d'acquisto ha comportato una riduzione della propensione al risparmio fino al 6,3% del 2023, contro l'8,1% del 2019 e il picco raggiunto nel 2020 nel primo anno della pandemia.
Tasso d'occupazione al 61,5%, divario genere a 17,9 punti Il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni in Italia nel 2023 ha raggiunto il 61,5% guadagnando 2,4 punti percentuali rispetto al 2019 sia per gli uomini (al 70,4%) sia per le donne (al 52,5%) ma il divario di genere resta ampio con 17,9 punti. L'Istat sottolinea come ci sia un notevole ritardo in termini di partecipazione al mercato del lavoro rispetto agli altri Paesi Ue. Nel 2023, il tasso di inattività della popolazione di 15-64 anni (33,3%) resta il più alto della media dei Paesi dell'Ue27 (25,0%) con un divario che per le donne è di circa 13 punti percentuali. "Il divario nei tassi di occupazione dell'Italia rispetto alla media Ue27 - si legge - può essere integralmente ricondotto alla debolezza del mercato del lavoro delle regioni del Mezzogiorno (nel 2023 il 48,2% di occupati rispetto al 70,4% della media Ue27) e della componente femminile dell'occupazione (il 52,5% a fronte del valore 65,8%).
La quota dei occupati part-time (17,6 % del totale) è in linea con la media Ue27, superiore a quella di Francia e Spagna (rispettivamente 16,6% e 13,2%) e molto inferiore a quella della Germania (28,8%). Nel 2023 oltre la metà dei lavoratori a tempo parziale nella classe 15-64 anni (il 54,8%) vorrebbe lavorare di più; l'incidenza raggiunge quasi il 70% tra gli uomini e a quasi 9 su 10 per quelli residenti nel Mezzogiorno.
Sottoinquadrato un laureato su tre Nel 2023, tra gli occupati laureati circa 2 milioni di persone (il 34% del totale) risultano occupate con un inquadramento professionale che non richiede necessariamente il titolo d'istruzione conseguito e, in tal senso, sono considerate sovra-istruite. L'incidenza, spiega l'Istat, raggiunge il 45,7% tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche e scende al 27,6% tra i laureati in discipline
STEM. Tra il 2019 e il 2023 la quota dei sovra-istruiti è cresciuta di 1,1 punti percentuali.
Giù la partecipazione politica Negli ultimi 20 anni sono crollati la partecipazione politica e l'impegno degli adulti nel volontariato. "Nel
2023 - segnala l'Istat - è pari al 37,6% la quota di persone di 25-64 anni che fanno attività di partecipazione politica. Rispetto al 2003 si è osservata una riduzione significativa sia della partecipazione politica (era il 52,7%) sia di quella in attività di volontariato (8,5% nel 2023 contro 9,6% nel 2003)". Negli ultimi 20 anni, tra la popolazione adulta si è osservato un aumento della partecipazione culturale fuori casa (dal 35,9% del 2003 al 38,3 per cento del 2023), mentre diminuisce la quota di adulti che legge almeno un libro l'anno (dal 44% del 2003 al 40,9% del 2023).
Meno fumo e più sport, ma aumentano gli adulti in sovrappeso Meno fumo e più sport ma in crescita l'eccesso di peso: negli ultimi 20 anni cambia l'attenzione degli italiani verso i comportamenti salutari ma resta sostanzialmente stabile la quota di coloro che si dichiara in buona salute con oltre 7 italiani su 10. Secondo il Rapporto annuale Istat resta stabile il consumo di alcol anche se cambiano le modalità di consumo con meno utilizzo giornaliero e più occasionale. Nel 2023, l'indicatore di eccesso di peso tra gli adulti è in peggioramento rispetto a venti anni prima (dal 42% del 2003 al 45,2% del 2023) e con valori che si confermano nettamente più elevati tra gli uomini (55,5% contro 34,9% delle donne nel 2023).
Tra il 2003 e il 2023 è stabile il consumo di alcol nell'anno (poco più di 7 adulti su 10), ma si è dimezzato il consumo giornaliero ed è quasi raddoppiato quello occasionale e fuori pasto, che è cresciuto di più tra le donne, riducendo la differenza di genere. Si è ridotto, invece, il consumo abituale eccedentario, mentre è cresciuta l'abitudine a ubriacarsi, specialmente nella fascia 35-44 anni (dal 7,9% del 2003 al 12,4% del 2023).
Tra il 2003 e il 2023 diminuisce l'abitudine al fumo della popolazione adulta (dal 29,1% al 23,7%). Nel tempo, la distanza uomo-donna si riduce per effetto di una flessione meno marcata dell'abitudine al fumo tra le donne: dal 22,3 % al 19,3%, mentre per gli uomini si passa dal 36,0% al 28,1%. Negli ultimi 20 anni cala la quota di adulti che non praticano né sport né attività fisica (dal 39,5% al 31,5%). È aumentata la pratica sportiva
(dal 29,4% al 37,8%), specialmente di tipo continuativo.
Nel 2023 la famiglia soddisfa circa 9 adulti su 10, seguita dagli amici (poco più di 8 su 10) e dalla salute (circa 8 adulti su 10). La soddisfazione per la situazione economica e per il tempo libero sono le aree con livelli di soddisfazione più bassi (quasi 6 persone su 10), ma per il tempo libero nel tempo si osserva il miglioramento più marcato.
In 20 anni 3 milioni di giovani in meno Oltre tre milioni di giovani in meno in 20 anni: l'Italia registra nel 2023 appena 10,33 milioni di persone tra i 18 e i 34 anni con un calo del 22,9% rispetto al 2022 quando erano 13,39 milioni. Secondo l'Istat, rispetto al picco del 1994, quando rientravano nella fascia i ragazzi del baby boom, il calo è di quasi cinque milioni (-32,3%). Negli ultimi 30 anni c'è stato un incremento speculare delle persone di 65 anni e più cresciute da poco più di 9 milioni nel 1994 a oltre 14 milioni nel 2023 (+54,4%).
Ci si sposa 5 anni più tardi Gli attuali giovani hanno transizioni sempre più protratte verso l'età adulta. Nel 2022, il 67,4% dei 18-34enni vive in famiglia con quasi otto punti in più rispetto al 2002 (59,7%). Secondo l'Istat i valori sono intorno al 75% in Campania e Puglia. Si posticipano anche la nuzialità e la procreazione. Nel 2022, l'età media al (primo) matrimonio è di 36,5 anni per lo sposo (31,7 nel 2002) e 33,6 per la sposa (28,9 nel 2002); quella della prima procreazione per le donne è salita a 31,6 anni, contro 29,7 nel 2002.