E' caos sul governo in Francia dopo il secondo turno delle elezioni legislative, vinte a sorpresa dalla sinistra del Fronte popolare sui centristi di Macron e sull'ultradestra di Marine Le Pen. Il capo dello Stato ha respinto per ora le dimissioni presentate dal premier uscente, il centrista Attal. Nessuna delle tre coalizioni ha la maggioranza assoluta, ma ci sarebbero i seggi per larghe intese anche senza la sinistra estrema di France Insoumise di Mélenchon. Attesa per la scelta della Gauche, che entro la settimana indicherà il suo candidato premier. Tra le anime del Fronte spunta il nome di Francois Ruffin.
Gran fermento nel Fronte Dopo aver vinto infatti, il Fronte ora è in pieno fermento, tra lavori in corso e riunioni per trovare una guida. C'è un Fronte con Mélenchon e uno senza. I socialisti, gli ecologisti, anche i comunisti, sanno che tutto il resto dell'arco politico, senza contare l'estrema destra, guarda a loro. Ma il giorno dopo, la squadra che vince non si cambia e per il momento si va avanti anche se i lavori più profondi e dolorosi sono in corso proprio nella casa della France Insoumise.
Mélenchon e divergenze La campagna elettorale ha esasperato le divergenze e il carattere forte e passionale di Mélenchon ha fatto il resto. Gli "ortodossi" del Fronte, come Manuel Bombard e Mathilde Panot, assicurano che "tutto va bene, noi andiamo avanti solo per applicare il nostro programma". Che prevede misure come l'abrogazione immediata della riforma delle pensioni con il limite che tornerebbe a 60 anni, il blocco dei prezzi dei beni di prima necessità, il salario minimo a 1.600 euro. Costi altissimi, otre i 100 miliardi, con conseguente impennata delle tasse. Nel partito liti con le personalità più spiccate hanno causato vere epurazioni, con 3 dissidenti rieletti anche senza l’ombrello del partito, Alexis Corbière, Danielle Simonnet e Hendrik Davi. Ha perso Raquel Garrido, molto popolare. Mentre Clémentine Autain ha detto di voler passare "in un nuovo gruppo politico" accusando i vertici di "purghe".
Ruffin e le accuse a Mélenchon Anche Francois Ruffin, una colomba nel movimento, aveva sbattuto la porta: era da tempo considerato il successore di Mélenchon. Ha accusato il capo di essere "un peso morto" ed è andato a farsi eleggere da indipendente. Nella settimana di campagna elettorale è stato citato come il salvagente nel caso di ostinazione di Mélenchon a presentarsi come candidato premier e domenica ha fatto il suo nome anche Raphael Glucksmann quando gli è stato chiesto un papabile da proporre a Macron.
A caccia del premier Le varie anime si sono già riunite per disegnare il profilo di un premier che metta d'accordo tutti. Olivier Faure, il segretario dei socialisti che condivide con Glucksmann il merito di aver ricostruito un partito in macerie, ha garantito che "entro la settimana decideremo chi sarà il nostro candidato premier". La scelta non dovrebbe trasformarsi in una delle tradizionali guerre fratricide della sinistra. "Sceglieremo per consenso - ha detto Faure -, altrimenti ci sarà un voto" delle diverse formazioni che costituiscono l'alleanza. Un'eventualità che si cerca di scongiurare.
Attal prende le distanze da Macron E intanto guadagna punti la figura di Gabriel Attal, primo ministro oggi prorogato nella sua carica con la formula poco protocollare "per il momento". Domenica sera l'ex delfino di Emmanuel Macron ha affermato: "Non ho scelto io lo scioglimento dell'Assemblea nazionale, ma ho deciso di non subirlo". Parole come macigni, che suggellano la fine di un legame che sembrava inossidabile. Sei mesi fa appariva a fianco di Macron. Adesso a Macron è molto meno legato. Anche se è stato Macron a fargli scalare il partito: prima portavoce, poi sottosegretario, due volte ministro (Conti pubblici ed Educazione nazionale) e infine capo del governo.
Gli screzi Le distanze sono esplose la sera del 9 giugno, quando il presidente annunciò ai francesi lo scioglimento del Parlamento, che lui tentò di evitare in ogni modo, anche offrendo all'Eliseo le sue dimissioni, che Macron respinse, soprattutto perché in Attal vedeva "il migliore per condurre la campagna" delle legislative. Ma Attal si è smarcato da Macron in queste poche settimane: Macron resta fedele all'idea di equidistanza tra France Insoumise e Rassemblement National, Attal punta sul "rischio da evitare quello di una maggioranza assoluta del Rn, non di Lfi". E invoca "una nuova era, un nuovo modo di governare", l'obiettivo di riprendere "la fiaccola dei miei ideali". Domenica dice chiaramente: "Dovremo renderci conto che dobbiamo rimettere tutto in discussione. Il nostro spazio politico dovrà mettersi al lavoro per costruire una nuova proposta politica". Lui ci sta lavorando, ma probabilmente il suo futuro è lontano da Macron.
La mappa del voto Se dalle urne esce vincitore il Nuovo Fronte Popolare grazie alla strategia delle desistenze, il partito di Marine Le Pen resta comunque il più votato (32,05% dei consensi) dopo il 29.25% del 30 giugno. Al Nuovo Fronte Popolare va il 25,68% contro il 28,06% del primo turno e tra i due contendenti si inserisce a sorpresa Ensemble! (i macroniani) con il 23,14% contro il 20,04%. Il 5,41% vota Le Républicains (il 6,57% al primo turno). Il Nuovo Fronte Popolare ha 182 deputati, Ensemble ne ha 168, Rn e i suoi alleati arrivano a 143. Dopo il 30 giugno Rn era in testa, con le desistenze l'estrema destra scende al terzo posto. Buoni risultati della sinistra nei grandi centri urbani. Al primo turno un sondaggi di Ipsos rileva che il Rn fa breccia tra gli over 35, mentre i giovani votano soprattutto per la sinistra del Nuovo Fronte Popolare.