Tre settimane di pressing sfrenato. Prima usando la moral suasion dietro le quinte, poi allo scoperto di fronte alla sua determinazione ad andare avanti a tutti i costi. I leader del partito democratico e i donatori sono riusciti alla fine a mettere Joe Biden all'angolo, spingendolo a ritirarsi dopo il disastroso dibattito contro Donald Trump. Biden avrebbe iniziato a scrivere la lettera di ritiro già sabato sera, ma non ne avrebbe fatto parola con il suo staff fino a dieci minuti prima di ufficializzare la sua decisione di abbandonare la corsa per la Casa Bianca. E la stessa Kamala Harris, che ha ricevuto l'endorsement del presidente Usa, sarebbe stata avvertita soltanto durante la giornata di domenica.
Dal 27 giugno del faccia a faccia con il rivale, il presidente si è battuto come un leone per rilanciare la sua immagine agli occhi degli americani e del partito. I suoi sforzi, fra interviste e contatti ravvicinati con il pubblico, non hanno però sortito l'effetto sperato: le richieste per il ritiro non sono rallentate, anzi sono aumentate.
Il pressing dei big dem E se Biden è stato in grado di reggere al pressing di alcuni deputati, nulla ha potuto contro Nancy Pelosi, Barack Obama, Chuck Schumer e Hakeem Heffries. Loro, i pesi massimi del partito, preoccupati da sondaggi sempre più catastrofici che assegnano a Trump praticamente tutti gli Stati chiave in vista di novembre, hanno segnato il destino di Biden, riaccendendo in lui quel rancore che si portava dietro dal 2016, quando lo convinsero a non correre preferendogli Hillary Clinton. Pubblicamente non si sono mai schierati contro il presidente: hanno mantenuto il silenzio, come quello assordante di Obama, o hanno mandato avanti altri. La loro campagna coordinata (solo i Clinton erano con Biden) ha però ottenuto l'effetto desiderato, complice anche lo zampino dei donatori che hanno chiuso i rubinetti facendo mancare alla campagna del presidente la linfa per proseguire. I ripetuti contatti fra Pelosi e Obama, trapelati con indiscrezioni, sono stati per Biden un chiaro segnale della morsa che si stava stringendo su di lui, istigata, secondo la sua campagna, dall'ex speaker della Camera e con il suo ex capo come burattinaio.
La defezione di finanziatori e sostenitori La prima defezione pubblica per Biden è arrivata il 2 luglio, cinque giorni dopo il dibattito, quando il deputato democratico Lloyd Doggett ne chiese il ritiro. Il giorno successivo i primi donatori sono usciti allo scoperto, con il co-fondatore di Netflix William Reed Hasting. Il 5 luglio Biden si è lasciato intervistare dall'anchor di Abc Gorge Stephanopoulos, ex dell'amministrazione Clinton. La sua performance debole non è riuscita a rassicurare e la fuga dei deputati è continuata. Il 10 luglio George Clooney, uno dei maggiori donatori democratici e amico di Obama, gli ha chiesto di lasciare e anche un primo senatore, Peter Welch, è uscito allo scoperto. L'11 luglio, a conclusione del vertice Nato, Biden ha confuso il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky con Vladimir Putin: ha cercato di recuperare subito ma la gaffe non è sfuggita a nessuno e ha alimentato le critiche nei suoi confronti. Il tentato assassinio di Donald Trump sembrava aver calmato le polemiche, o almeno distratto l'attenzione. Negli ultimi giorni però la pressione è tornata a salire e Biden alla fine ha ceduto.