Il payback sui dispositivi sanitari è legittimo. È quanto ha stabilito la Consulta, con due sentenze che respingono così l’ipotesi di una illegittimità costituzionale del meccanismo che impone alle aziende che riforniscono di dispositivi medicali il sistema sanitario di concorrere allo sforamento dei tetti di spesa. Una decisione che potrebbe comportare il coinvolgimento dei privati nel pagamento di 1,1 miliardi di euro, a fronte degli sforamenti di spesa fatti nel quadriennio 2015-2018.
Come è noto, la fornitura di dispositivi medici avviene in seguito a gare pubbliche alle quali possono partecipare le varie aziende che si occupano di fornire tali strumenti sanitari. Il meccanismo del cosiddetto payback è stato imposto dal legislatore per costringere le imprese che si aggiudicano le gare a restituire un importo pari al 50% delle spese in eccesso effettuate dalle singole Regioni, in modo da concorrere al ripianamento dell’eventuale superamento del tetto. Finora il governo è riuscito a rinviare i pagamenti, individuando di volta in volta le coperture nei vari Documenti di economia e finanza, ma senza mettere a punto una soluzione strutturale.
La questione della legittimità costituzionale del payback era stata sollevata dalla sentenza del Tar del Lazio dello scorso 24 novembre. Il meccanismo valido per i dispositivi medici “presenta diverse criticità, ma non risulta irragionevole in riferimento all’articolo 41 della Costituzione" e, aggiungono i giudici, dell'art. 23 della Carta per quanto riguarda l'imposizione di prestazioni patrimoniali. La Consulta afferma poi che il payback "pone a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessari alla tutela della salute in una situazione economico-finanziaria di grave difficoltà". Per la Corte Costituzionale, inoltre, "il meccanismo non è neppure sproporzionato, alla luce della significativa riduzione al 48 per cento dell'importo originariamente posto a carico delle imprese, riduzione ora riconosciuta incondizionatamente a tutte le aziende" in virtù di una delle due sentenze appena depositate.
Immediate le reazioni dei rappresentanti del settore. "Chiediamo con forza al Governo l'immediata convocazione di tavoli per gestire la crisi del comparto", rileva in una nota il presidente di Confindustria dispositivi medici, Nicola Barni. Gli fa eco Gennaro Broya de Lucia, presidente di Pmi Sanità, l'associazione nazionale delle piccole e medie imprese che riforniscono gli ospedali di materiali necessari a diagnosi e cure: "La sentenza della Consulta liquida frettolosamente e senza reali motivazioni giuridiche un istituto folle, che sposta artificiosamente miliardi di debito pubblico su malcapitate aziende private che da anni si prodigano quotidianamente per il funzionamento della sanità, specialmente quella pubblica". E conclude la nota affermando di essere "pronti allo stop delle forniture", lamentando inoltre che "per molte delle 6mila imprese destinatarie della norma-mostro, specialmente le più piccole", il payback significherebbe uscire dal mercato, travolte da una valanga di debiti.
Ogni Regione ha contratto debiti più o meno ingenti durante il periodo interessato dalle sentenze. Non appena sono state depositate le disposizioni della Consulta sono ripartite le polemiche sulla norma. A commentare, per esempio, la situazione dell'Emilia-Romagna è Valter Caiumi, presidente di Confindustria Emilia Area Centro: "Precisiamo che, solo per la nostra Emilia Centro, per il triennio 2015-2018 le imprese dovranno versare decine e decine di milioni di euro". Secondo il presidente, sarebbe "il principio base che sta nelle regole del mercato e dell'economia che è palesemente leso". Insomma, per le imprese la norma andrebbe "abrogata immediatamente e con effetto retroattivo". Per la Consulta invece la disposizione si è limitata a rendere operativo l'obbligo di ripianamento a carico delle imprese fornitrici, "senza influire in modo costituzionalmente insostenibile sull'affidamento che le parti private riponevano nel mantenimento del prezzo di vendita dei dispositivi medici".
Dall'altra parte della barricata rispetto alle aziende ci sono le Regioni, che gestiscono la sanità nei propri territori. Uno dei primi a prendere posizione è stato il governatore della Toscana, che è la Regione che ha sforato di più a livello nazionale. "A questo punto basta un decreto ministeriale e noi possiamo mettere a bilancio, come voce attiva, le annualità che mancano di payback: dal 2019 a oggi si tratta di 420 milioni. Se con questo decreto ministeriale veniamo abilitati non a prendere dallo Stato, ma a poter escutere queste risorse con decreto ingiuntivo dagli imprenditori che in questi anni il payback non l’hanno pagato, io tolgo subito l’addizionale Irpef", dice Eugenio Giani in riferimento all'aumento dell'imposta che è stato introdotto per i cittadini con redditi superiori ai 28mila euro lordi per l’anno 2024. In questa vicenda, "Ora sono più forti le ragioni della Toscana", conclude il governatore: "La Corte Costituzionale ha riconosciuto legittimo il nostro comportamento e io sono molto contento perché è la dimostrazione della nostra correttezza".