Oggi, 31 ottobre, è il giorno della scadenza del concordato preventivo biennale. La misura su cui punta il governo, per reperire nuove risorse da destinare alla Manovra, è rivolta alle partite Iva e alle piccole imprese. Di cosa si tratta? Le partite Iva che aderiscono accettano di pagare una quantità predeterminata di tasse per il 2024 e il 2025, una somma stimata dall'Agenzia delle Entrate che ha calcolato per ciascun contribuente, in base a una previsione di reddito, quanto dovrebbe pagare di imposte.
Le agevolazioni Accettando di pagare si evitano per due anni e nei 5 anni precedenti i controlli del Fisco, e si viene considerati "nuovamente" affidabili. Inoltre si possono avere sconti sugli utili per i prossimi due anni: se la previsione di reddito è più alta di quella degli anni passati - i calcoli del Fisco si basano su dati passati - si paga una tassa bassissima, che può andare dal 3% al 15%, sulla differenza.
Il governo è fiducioso Il governo punta a recuperare un po' di risorse con questo nuovo strumento fiscale per i lavoratori autonomi. Tutto dipende, però, dal gettito che produrrà e per conoscerlo bisognerà aspettare i conteggi dell'Agenzia delle Entrare in arrivo tra una decina di giorni. Ma il viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, resta fiducioso e si attende "notizie positive".
Il "tesoretto" del concordato servirà a limare l'Irpef per il ceto medio-alto Sebbene il governo non si sia sbilanciato con alcuna stima, le aspettative sulle risorse che saranno liberate sono alte, perché è l'unica voce in grado di rimpinguare una legge di bilancio dai margini di manovra molto stretti. Informalmente, il governo punta ad incassare almeno un miliardo e mezzo con il concordato al quale è stata collegata anche una sanatoria relativa a cinque anni passati, dal 2018 al 2022. Con quelle risorse, ribadisce Leo, si lavorerà sulle aliquote Irpef: "Oggi abbiamo tre aliquote, 25%, 35% e 43%, sappiamo che il ceto medio si sta impoverendo e la nostra volontà è lavorare sulla famosa aliquota del 35%", ritoccandola al 33% ed estendendola fino a 50-60mila euro di reddito. Qualche settimana fa proprio Leo aveva quantificato i costi dell'operazione: servono 2,5 miliardi per portare l'aliquota dal 35% al 33% sui redditi fino a 50.000 euro, 4 miliardi per estenderlo fino a 60.000 euro, come chiede Forza Italia. Difficile quindi che si riesca anche ad andare incontro ai desiderata della Lega che con quelle risorse vorrebbe anche estendere la flat tax oltre gli 85mila euro.
Ecco perché i commercialisti hanno chiesto una proroga Nei giorni scorsi i commercialisti hanno chiesto una proroga lamentando disservizi: di certo martedì un problema ha riguardato gli F24, non collegati al concordato, ma sarebbe stato risolto in poche ore. Le difficoltà di accesso, pur indicate dai professionisti, non hanno trovato conferme, anche se è ovvio che vicino alla scadenza il numero di richieste può creare qualche disagio. Per i commercialisti era necessaria una proroga, altrimenti "si rischia un insuccesso della misura". Serve tempo, hanno spiegato, per definire ed elaborare le proposte e "valutarle con i contribuenti loro assistiti". Una richiesta rafforzata dalle lamentele sui disservizi scritte nero su bianco in una lettera inviata a Leo e al direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini.
Perché il governo non ha prorogato la scadenza Ma non c'è stata alcuna estensione dei termini, e il motivo lo ha spiegato il viceministro: "Noi avremmo voluto dare più tempo ai contribuenti" per aderire al concordato preventivo "ma il nostro obiettivo era vedere quali risorse abbiamo su questo per lavorare sull'Irpef" e "se non abbiamo un dato puntuale del gettito entro il 31 ottobre non siamo in grado di intervenire immediatamente" in legge di bilancio. Ora, ha sottolineato, "bisogna dare tempo all'Agenzia delle Entrate di elaborare tutti i dati delle dichiarazioni, consideriamo una decina di giorni massimo".